Monade
“Ci sono delle similitudini evidenti tra i due giochi [cubo di Rubik e scacchi]. Risolvere il cubo non è questione di destrezza, ma di forza mentale. Mi interessa l'esplorazione delle potenzialità umane, saperle riconoscere e infine realizzarle. Credo che sia una buona definizione del concetto di futuro”. (ErnÅ‘ Rubik)
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Corina Surdu entra a Spazio Hangar silenziosamente e fa propria la natura sperimentale del luogo. Senza aspettative o idee preconcette, racconta di sé e si predispone contestualmente al nuovo e all’inaspettato. Occupa, vive, fa proprio e trasforma lo spazio sfruttando l’occasione che è pretesto di ricerca ed analisi.
Due sole variabili, spazio e tempo, in dialogo con una sola costante, la sua persona. Un tempo definito, due settimane, che l’artista documenterà con la sua produzione nascente e che la curatrice, con cui dialoga, tradurrà in parole come svelando le pagine di un diario. A documentare il pregresso, la giovane artista decide di introdurre nello spazio due lavori funzionali a descrivere la sua identità artistica. Divengono il simbolo di storia e verità di cui necessita di percepire il profumo per dare significato e corpo al presente ed al futuro imminente. Le due opere esposte, alle sue spalle, costituiscono la scenografia del palcoscenico su cui la Surdu si esibisce ignara dell’esito dello spettacolo: non c’è una trama definita, né battute imposte o partizione in atti. Il passato è l’unica certezza da cui muovere i primi passi verso un’esperienza inattesa.
Al centro una tela monocroma, un’entità unitaria, semplice: è l’espressione autentica dell’individualità della Surdu e il nucleo in cui si addensa il suo principio di attività e di forza appetitiva, percettiva e razionale. Una monade chiusa in sé stessa, indipendente, e tuttavia in armonia con le altre otto tele bianche, sospese ed in attesa di essere sfiorate. L’artista è colore, ingegno, con trilioni di pensieri che si incastrano e combinano vicendevolmente. Cerca di trovare la soluzione al suo Cubo di Rubik, un solo tassello chiaro e immobile, gli altri mutevoli e variabili, potenziali e in divenire. Tre superfici su tre linee parallele ma tangenti e messe in comunicazione da un centro vivo, pulsante e ceruleo. Dicono che tre sia il numero perfetto e nel moltiplicarlo la Surdu cerca la sua perfezione celata nell’imperfezione di uno spazio che è incognita e imprevedibilità, esperimento e laboratorio.
Prova, fallisce, ritenta, i colori cambiano, le visioni mutano condizionate da suggestioni che solo un ambiente dinamico come Spazio Hangar può suscitare. Ma la sostanza permane, senza trucchi, senza guide. Le dita e il pennello, i pigmenti e i gesti agiscono, si muovono anche ad occhi chiusi. Vanno a memoria, sensazioni ed emozioni. Lavorano d’irreale con qualcosa di assolutamente reale e materico in una dimensione (spaziale e temporale) terribilmente matematica e ragionata.
Corina Surdu intende combinare la dimensione originariamente ludica del Cubo di Rubik, di cui eredita visivamente la forma, con quella razionale e fatta di meccanismi impeccabili che è nel conseguimento della soluzione finale. Ma lo fa preservando la sua identità artistica e creativa, onirica e sognante. Ambisce a perseguire la sua perfezione celata in una sola, corretta e fondamentale, combinazione.
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Federica Acierno